Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  lunedì 29 agosto 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
L'idea liberale (23)

di Panfilo Gentile

CIO’ CHE DISTINGUE IL LIBERISMO DAL SOCIALISMO.

 

Liberismo e socialismo divergono invece profondamente nella diversa considerazione concreta, storica dei mali che affliggono l’attuale società e dei rimedi da invocare. Per i socialisti di ogni confessione il male è rappresentato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. Il grande colpevole è il capitalismo. La grande ingiustizia è la divisione della società in due classi: una che ha la proprietà di tutte le risorse e i beni strumentali, l’altra che ha soltanto le sue braccia.

 

Il rimedio consiste nel trasferire allo Stato la proprietà dei mezzi di produzione. Quando questi costituiranno un pubblico demanio, spariranno le classi, sparirà lo sfruttamento dei proprietari sui salariati. Lo Stato, sostituendo un’unica impresa pubblica a tutte le imprese private, le gestirà nell’interesse di tutti, distribuirà il reddito in proporzione delle prestazioni fornite da ognuno; tutti potranno collocarsi in una gerarchia proporzionale alle capacità; a tutti sarà assicurato, in condizioni di eguaglianza, il libero sviluppo della personalità.

 

I liberali non possono identificare la questione sociale e la sua soluzione in questi termini, che peccano di astrattezza. E’ una semplificazione manichea addebitare tutte le  colpe all’”ahriman” capitalista. Ed è un rimedio assolutamente sbagliato il collettivismo.

 

Non è certamente esatto che la proprietà privata sia per ciò stesso un parassita che vive e prospera del lavoro altrui. Se questo rimprovero può essere lecito per alcune forme storiche di capitalismo, del resto oggi marginali, non è però estensibile al capitalismo come tale e non può quindi servire a fondare una dottrina che condanni in blocco il sistema. Dopo gli studi di Sombart e di Max Weber, sappiamo che la parola capitalismo è un termine generico che comprende molte forme storiche di acquisto, di consolidamento e di gestione di ricchezza. Esistono sì un capitalismo di speculazione, un capitalismo di piantagioni, alle cui origini e alle cui fortune non presiedono il lavoro e il risparmio, ma iniziative meno rispettabili che vanno dalla rapina allo schiavismo. Ma esiste un capitalismo fisiologico, contro il quale non si può sollevare nessuna questione morale. Spesso capitale e lavoro sono riuniti nelle stesse mani. Esiste una classe più o meno vasta di lavoratori indipendenti, impresari di se stessi o al massimo di qualche apprendista e collaboratore in sottordine: artigiani, piccoli proprietari agricoli, associazioni cooperative di produzione o di lavoro. Esistono poi imprese nelle quali il capitalista interviene anche in qualità di imprenditore, di dirigente e quindi il profitto non sta a corrispettivo solo della prestazione dei mezzi di produzione, ma lo è anche di una partecipazione operosa e decisiva al processo produttivo.

 

Nessuno potrà dire che il capitalista-imprenditore operi un indebito prelievo sul prodotto del lavoro altrui, poiché da un lato egli si assume tutti i rischi dell’impresa e dall’altro conferisce il suo lavoro, le sue iniziative, i suoi sforzi organizzativi, il suo intervento direttivo, spesso accompagnato da particolari capacità tecniche e amministrative. Non vi è ingiustizia se questo capitalista imprenditore si attribuisce un guadagno che è il frutto della sua capacità, delle sue fatiche, e del coraggio con cui affronta responsabilità e rischi.

 

In altri casi si ha è vero conferimento di capitale senza conferimento di lavoro, ma ciò non basta ancora alla squalifica morale del capitalista. Se il capitalismo è risparmio e cioè legittimo prodotto non consumato del lavoro, il successivo suo investimento a reddito non costituisce che un’alleanza tra il lavoro passato e il lavoro presente. Se un professionista, un impiegato, magari un operaio hanno messo da parte un certo capitale con la parsimonia e le rinunzie, e se invece di investirlo nell’acquisto di un bene voluttuario, preferiscono metterlo a profitto con l’acquisto ad esempio di titoli industriali, ebbene da questo momento essi saranno diventati per l’appunto dei puri capitalisti, ogni anno percepiranno un reddito, un dividendo, senza dare il minimo contributo personale all’impresa della quale sono azionisti, ma non per questo sarà lecito chiamarli sfruttatori. Perché se è vero che il giorno in cui hanno acquistato in Borsa il titolo azionario, hanno acquistato un diritto sul lavoro altrui, è altrettanto vero che questo diritto è stato acquistato col proprio lavoro. In definitiva il conferimento del capitale è il conferimento del lavoro fatto al lavoro da fare e il reddito è il tributo che il lavoro attuale paga al lavoro trascorso, nella continuità della vita e delle generazioni.

 

Non ci sembra quindi punto giustificata una condanna morale sommaria e indiscriminata del capitalismo, come se esso rappresentasse la categoria assoluta, metafisica del male.

 

Ciò non significa però che il liberalismo non abbia nulla da dire su certe forme storiche del capitalismo. Se il capitalismo non è il male, non è detto con ciò che tutte le società a regime capitalistico siano per ciò stesso il bene.

 

Su questo piano la dottrina liberale ha qualche cosa da imparare da Marx e, parafrasando una celebre frase di Benedetto Croce, si potrebbe affermare che i liberali non possono non dirsi in un certo senso marxisti.   

 

23) Segue.  Â